7 Luglio 2025
Arbëria

Il ritorno di un dèmone grato

di

Ettore Marino

Mentre andavo seguendo, privo d’ansia e di gioia, l’incontro tra Italia e Bulgaria, semifinale dei Mondiali del 1994, venni trafitto da un pensiero. Realizzai infatti che dalla finale di Coppa dei campioni tra Barcellona e Sampdoria, e cioè dal Maggio del 1992, il Calcio mi si era reso estraneo. Se, e per motivi ignoti, il dèmone del tifo pedatorio m’aveva abbandonato con il passo d’un gatto che avanzi su un tappeto, la passione ciclistica mi fu strappata con improvviso orrore quando a Madonna di Campiglio, il 5 Giugno del 1999, l’applicazione di una legge stupida e feroce scaraventò lontano dal Giro d’Italia e dalla felicità l’eroe che un lustro dopo ne sarebbe morto. Marco Pantani si chiamava.

 Avevo sempre giocato a pallone, e sempre pedalato, e sempre duettato a Ping-pong. E avevo tifato, col fanatismo dei matti: per il Napoli, per Francesco Moser, e per quel Marco che la vita, mediocre e troia, uccise.

Ma che cos’è tifare? Me lo son chiesto assai sovente, e la risposta fu sempre una sola: in me e per me, il tifo è una molto balzana mistura di amore e di identificazione. Amore e identificazione (s’intenda: con l’oggetto amato) ripugnano infatti fra loro: chi ama non si identifica, chi si identifica non ama; l’amore è un vivo trepidare, l’identificazione è narcisismo insano. Ebbene, il tifo, bizzarro dèmone alchimista, ha la virtù di fonderli nella casta unità di un elisir fatato.

Un elisir fatato… Inaridito di saggezza, non ne gustavo più. Quello ch’era stato il mio Napoli faceva sua la stagione 2022-23, e a me nulla importava. Lucius de Garsignac e Joseph Mar-Zulle, fraterni miei maestri di sapienza ciclistica, mi parlavano ardendo di Nìbali e di Froome, di Pogačar e Vingegaard, e parlavano a un muro di cocciuto ghiaccio. Se al Bar di Pippo al mio paese, se al Caffè di Margherita e Roberto in riva d’Arno o in quello di Clelia e Ivano a Cosenza, si discuteva, si tenzonava, ci si accapigliava pei colori calcistici, io rimanevo muto, preda di frolla invidia…

Ma non è più cosi! Non lo è da quando nel mio borgo è sorta una compagine di Calcio a cinque. L’antichissimo dèmone è tornato ad irrompere in me come un’immane massa d’acqua che, sbriciolata ogni senile paratoia, m’ha rifatto ragazzo. Io amo il Futsal Vakarici, e in esso m’identifico. Non sogno più bionde fanciulle, non sogno più arie d’opera; non vie, non chiese, non palazzi, o pagine da scrivere, o pagine già scritte. Sogno di stare in campo: di giocare e di vincere. Nella realtà, ho seguito la squadra, ne ho cantato le gesta: versi di sprone prima d’ogni partita, di trionfo dopo ogni vittoria, di conforto quando inquietudine e stanchezza presero ad affiochire un brio fin allora ogni volta vincente. Un finale agrodolce smezzò infatti la duplice corona che già pareva tutta nostra: il Campionato fu appannaggio della Oreste Angotti di Torano Castello, alla quale plaudiamo come sportività comanda; a noi la Coppa, conquistata col mettere a tappeto i pur valenti ragazzi della Farmacia San Nicola di San Lucido; e a noi pure l’accesso al Torneo regionale, conseguito dominando i Play Off.

Gratitudine a voi, fratelli del Futsal Vakarici! E un grazie a chi fondò e dirige Terre Letterarie, e cioè a Mario Gaudio che, gentilmente concessomi lo spazio perché vi proseggiassi, me ne lascia riempire altrettanto di alcune delle rime con cui ho accompagnato la cavalcata degli eroi vakaricjoti fino all’ultimo trillo di fischietto.

1 Pioggia o sole, nebbie o venti, / ben temprati, forti, attenti, / al banchetto della gloria / gusteremo la vittoria, / noi, atleti eletti e chiari / cui nessuno fu mai pari; / noi, falange schiusa in campo / che al nemico non dà scampo; / noi, sapienti nell’ardore; / noi, sprezzanti ogni dolore; / noi, trionfanti per decreto / d’un destino sempre lieto!

2 I nemici oggi vennero / covando l’arroganza / di vincere infliggendoci / golletti in abbondanza. // Segnarono, gioirono, / e infine, cupi e afflitti, / a casa ritornarono / in lacrime, sconfitti.

3 Pareggiare non è venir sconfitti, / ma ripiegarsi su sé stessi un poco. / Torneremo domani forti e ritti: / trionferemo in lettere di fuoco!

4 Che sia in casa o in trasferta, nulla cale: / il Futsal Vakarici è il funerale / d’ogni avversario che si pari innanzi. / A noi la torta, agli altri i magri avanzi…

5 Risorge solamente chi è caduto, / e noi siamo risorti in gloria pura. / Ogni avversario avrà una sorte dura: / amici, ogni avversario è già fottuto!

6 Se il Campionato ci sfuggì di mano, / la Coppa, amici, splendida si mostra. / In un meriggio che non è lontano, / indubitabilmente sarà nostra.

7 Il Futsal Vakarici, pel sentiero / dei Play Off, ha raggiunto un’alta meta: / un Torneo molto, molto più severo / lo attende, ed ogni anima s’allieta!

8 La Coppa dunque è nostra, e plauso sia / ad ognuno di voi dal cuor di ognuno. / Se in Campionato avemmo sorte ria, / la sorte oggi mutò, fiore dal pruno. / Tifosi e atleti, in limpida letizia, / gustiamo queste ore di delizia / prima che giunga un sonno che rinfranchi / euforici tifosi e atleti stanchi…

9 Un attaccante che non dà mai pace / alle reti avversarie è il buon Surace; / uno che segna come fanno i grandi / risponde invece al nome di Librandi. / Volteggia Giandomenico e trafora / la rete altrui con grazia che innamora. / Con ingegno magnanimo e sovrano / va in rete lo Scalise, capitano; / né di andarvi tralascia l’occasione / con accortezza limpida Buffone. / Il Curci, poi, che ha l’occhio sopraffino, / cura il gol come un vizio malandrino. / Degno appieno di stare loro allato / è Francesco, all’anagrafe Sposato, / né al mondo c’è chi possa trovar strano / che abbia marcato schietto anche Romano. / La voluttà del gol gustò Sprovieri, / sovrano della terna dei portieri, / mentre Matteo, ignaro di stanchezza, / in rete sublimava estro e destrezza. / Per mandare il nemico alla deriva, / con rabbia fece gol Gennaro Oliva, / né di segnare eluse mai l’incarco / con puntuale solerzia Luzzi Marco. / Una sua perla aggiunse alla corona / Nicola Maio, detto “Maradona”, / e, per renderci tutti ancor più lieti, / gli avversari produssero autoreti…

10 E in porta? In porta il primo è lo Sprovieri, / che coniuga saggezza ed ardimento. / Poi c’è Angioletto, che divieti austeri / oppone agli avversari nel cimento. / Cofone è il terzo: nacque appena ieri, / ma è di grazia matura alto portento. / E chi mi chieda chi dei tre è il migliore, / vada affanculo adesso e a tutte l’ore!

11 Chi giocò sempre e chi giocò assai poco; / chi segnò molti gol, chi restò in bianco; / chi diresse la squadra; chi al suo gioco / infuse ardire e scienza a polso franco; / chi del tifo portò l’immenso fuoco / ad ardere fraterno al vostro fianco: / a ognuno e a tutti, come in un boato, / un “Grazie!!!” ultrasincero e sconfinato.